domenica 27 settembre 2015

Le domande sul sesso di Pasolini ancora attuali nell'Italia di oggi !

Già. Sull'amore e sul sesso si discute da secoli. Sull'argomento hanno discettato romanzieri e filosofi, e anche poeti e registi. Eppure il tema è sempre d'attualità. Oggi come ieri, come negli anni Sessanta, conel 1963 quando Pier Paolo Pasolini, microfono alla mano e mille domande in testa, seguito da una macchina da presa si mise a percorrere l'Italia, da Nord a Sud, sulle spiagge, davanti alle fabbriche, al bar, nei cortili, per chiedere alla gente - ragazzini, madri, vecchi, padri di famiglia, signorine, campioni del calcio e seriosi intellettuali - cosa fosse per loro l'amore e cosa il sesso.
Il risultato furono decine e decine di ore di «girato» da cui uscirono i 90 minuti del film-inchiesta, o documentario d'autore, dal titolo Comizi d'amore . Prodotto dal leggendario Alfredo Bini, vietato ai minori di 18 anni (quando molti intervistati erano minorenni), presentato per la prima volta al Festival di Locarno nel luglio 1964, uscì in Italia nel '65. Distribuito in pochissime sale e con esiti commerciali scarsissimi, il film è stato a lungo considerato un lavoro minore di Pasolini. Oggi, a cinquant'anni di distanza, appare come una delle sue opere più moderne, più intelligenti e più utili per capire come si sia trasformata nel corso dei decenni la morale del Paese. Forse molto, viene da pensare. Ma identiche sono rimaste l'ignoranza, la superficialità, la vergogna e l'ipocrisia in materia.
Sullo schermo passano dubbi, contraddizioni, misoginia. «In questa società bisogna essere Dongiovanni, se no sei un fallito», dice un militare. «Io cerco di intavolare il discorso sul sesso con mio figlio, ma lui è evasivo... forse si vergogna», dice una mamma. «I giovani sono molto più liberi oggi di quanto lo erano ai miei tempi, ma era meglio una volta, oggi i giovani sono troppo spudorati», dice una contadina. «La donna è concepita come madre di famiglia; non è concepita, che so, per andare a lavorare, la sera uscire sola, andare al cinema, al caffè», risponde un calabrese.
Cosa è cambiato rispetto a oggi? Molto poco. Riproposte oggi - provate a leggerle - le domande di Pasolini otterrebbero risposte simili, tra paure, luoghi comuni, tabù, pudori, menzogne.
Le «interviste di strada sull'amore» dicono tantissimo sull'Italia di allora (schiacciata fra tradizionalismo cattolico, prime tentazioni del boom consumistico e perbenismo borghese), dicono molto su quella di oggi figlia naturale di quella di ieri (a partire dalla spaccatura feroce dal punto di vista culturale e sociale tra Nord e Sud), e tantissimo su Pier Paolo Pasolini, curioso di sapere lo stato delle cose sulla sessualità, «la prima volta», l'omosessualità, il divorzio, la prostituzione e soprattutto sull'amore, che era la cosa che lo interessava di più. Come scrisse Enzo Siciliano: «Il film è il suo più spassionato autoritratto».
Oggi, a cinquant'anni dall'uscita del film e a quaranta dalla morte di Pasolini, Comizi d'amore torna in forma di libro. Edito da Contrasto, curato da Maria D'Agostini e Graziella Chiarcossi (cugina dello scrittore), il volume presenta la trascrizione integrale del testo cinematografico e le fotografie di scena di Mario Dondero e Angelo Novi (che assieme a quelle scattate da Philippe Séclier sulle orme del reportage pasoliniano del 1959 La lunga strada di sabbia costituiscono la mostra La vera Italia? Due inchieste di Pier Paolo Pasolini che inaugura tra due giorni allo spazio «Forma Meravigli» a Milano). Ma il libro contiene anche parecchio materiale preparatorio. Tra cui il questionario, inedito nella forma originale, steso da Pasolini come ipotesi di lavoro prima di iniziare a girare. Da qui, con modifiche e improvvisazioni sul «campo», trasse tutti gli spunti per la sua inchiesta sulla sessualità degli italiani. Ed ecco le domande che lo scrittore si era appuntato: sull'importanza del sesso nella vita quotidiana (ad esempio: «Così, istintivamente, senza pensarci troppo, che cosa prova per chi è sessualmente anormale: odio, pietà, antipatia, indifferenza, disprezzo?»), sulle perversioni sessuali («Esiste un limite preciso tra normalità e anormalità sessuale?» oppure «Lei sa cos'è un feticista? Ha mai provato qualcosa che assomiglia al feticismo?»), sull'omosessualità («Se lei si accorgesse che suo figlio è omosessuale, come si comporterebbe, che provvedimenti adotterebbe?»), sul sesso e la vita sociale (micidiale, per il 1963-65, la domanda: «Secondo lei la donna sessualmente ha la stessa libertà dell'uomo o no?»), e poi sul libertinaggio («È una aberrazione sessuale o una scelta morale?»), sulla pornografia, il divorzio e la prostituzione: «Se dipendesse da lei, come risolverebbe il problema della prostituzione?». Che, come domanda, è più che mai perfetta oggi.
«Esaminando l'Italia dal basso e dal profondo - cioè nei più bassi strati sociali e nelle profondità dell'inconscio - ne è venuta fuori un'immagine irrimediabile, fatale, e certo, parziale; il mistero più misterioso, la realtà più reale di quanto si fosse potuto calcolare. Perciò l'inchiesta rimane aperta», scrive Pasolini a lavoro compiuto, stupito che al miracolo economico non corrispondesse nel Paese un miracolo culturale. Un'inchiesta così aperta che ancora oggi, fra intolleranza di vecchia data e confusione delle nuove generazioni, è lecito chiedersi: e noi, cosa risponderemmo alle domande di Pasolini sul sesso?
Luigi Mascheroni

venerdì 4 settembre 2015

“La bellezza salverà il mondo”: Dostoevskij ci dice come.



L’abbiamo imparato dai greci – e questa intuizione ha attraversato i secoli – che ogni essere, per differente che sia, possiede tre caratteristiche trascendentali (cioè sempre presenti; mentre situazione, spazio e tempo sono irrilevanti): ogni essere è unum, verum et bonum, voglio dire che gode di una unità interna che lo mantiene nell’esistenza; che è vero, perché si mostra così come di fatto è; buono, perché svolge bene il suo compito insieme agli altri aiutandoli a esistere e a coesistere.
Sono stati i maestri francescani medievali, come Alessandro di Hales e specialmente San Bonaventura che, prolungando una tradizione venuta da Dionigi Areopagita e da Sant’Agostino, hanno aggiunto all’essere un’altra caratteristica trascendentale: pulchrum, cioè bello. Basandosi sicuramente sull’esperienza personale di San Francesco che era un poeta e un esteta di eccezionale livello, che “nel bello delle creature vedeva il Bellissimo,” hanno arricchito la nostra comprensione dell’essere con la dimensione della bellezza.
Tutti gli esseri, anche quelli che ci sembrano schifosi, se li osserviamo con affetto, nei particolari e nell’insieme, presentano, ognuno a modo suo, una bellezza singolare se non proprio nella forma, certo nel modo come in loro tutto è articolato con equilibrio e armonia sorprendenti.
Uno dei grandi estimatori della bellezza è stato Fiodor Dostoevskij. La bellezza era così centrale nella sua vita, ci racconta Anselm Grun, monaco benedettino e grande spiritualista, nel suo ultimo libro“Bellezza: una nuova spiritualità della gioia di vivere” (Vier Turne Verlag 2014) che il grande romanziere russo andava almeno una volta all’anno a vedere la bellissima Madonna Sixtina di Raffaello. Rimaneva a lungo in contemplazione davanti a quella splendida figura. Questo fatto è sorprendente, dato che i suoi romanzi penetrano nelle zone più oscure e perfino perverse dell’animo umano. Ma quello che lo spingeva, in verità, era la ricerca della bellezza, e per questo ci ha lasciato la famosa frase: “La bellezza salverà il mondo” che appare nel libro “L’idiota”.
Nel romanzo I fratelli Karamazov approfondisce il problema. Un ateo, Ipolit, domanda al principe Mynski “in che modo la bellezza salverebbe il mondo”? Il principe non dice nulla ma va da un giovane di diciott’anni che sta agonizzando. Lì rimane pieno di compassione e amore finché quello muore. Con questo voleva dire: è la bellezza che ci porta all’amore condiviso con il dolore; il mondo sarà salvo oggi e sempre fin quando ci sarà questo gesto. E come ci manca, oggi!
Per Dostoevskij la contemplazione della Madonna di Raffaello era la sua terapia personale, perché senza di questa avrebbe disperato degli uomini e di se stesso, davanti ai tanti problemi che vedeva. Nelle sue opere ha descritto persone cattive distruttive e altre che vivevano immerse negli abissi della disperazione. Ma il suo sguardo, che metteva in rima amore con dolore condiviso, riusciva a vedere la bellezza nell’anima dei più perversi personaggi. Per lui il contrario di “bello” non era “brutto” ma utilitaristico, lo spirito di usare gli altri e così rubar loro la dignità.
“Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza” è impossibile, ripeteva. Bellezza è più che estetica; possiede una dimensione etica e religiosa. Lui vedeva in Gesù un seminatore di bellezza. “Lui è stato un esempio di bellezza e l’ha impianta nell’alma delle persone affinché attraverso la bellezza tutti diventassero fratelli tra di loro”. Lui non si riferisce all’amore verso il prossimo; al contrario: è la bellezza che suscita l’amore e ci fa vedere nell’altro un prossimo da amare.
La nostra cultura dominata dal marketing vede la bellezza come una costruzione del corpo e non della totalità della persona. Così sorgono sempre più numerosi i metodi di operazioni plastiche e consumo di botox per rendere le persone più “belle”. Bellezze costruite, senz’anima. Se osserviamo bene, in queste bellezze fabbricate emergono persone con una bellezza fredda e con un’aura di artificialità incapace di diffondere luminosità. A questo punto fa irruzione la vanità, non l’amore perché la bellezza ha a che vedere con amore e comunicazione. Dostoiewski osserva ne ‘I fratelli Karamazov’, che un viso è bello quando tu percepisci che in esso stanno litigando Dio e il diavolo, intorno al bene e al male. Quando il bene vince, erompe la bellezza espressiva, soave, naturale e irradiante. Qual è la bellezza più grande? Quella del viso freddo, di una top model o il viso pieno di rughe e pieno di irradiazione di Irma Dulce di Salvador, (Bahia) o di madre Teresa di Calcutta? La bellezza è irradiazione dell’essere. Nelle due sorelle l’irradiazione è evidente, nella top model è impallidita.
Papa Francesco ha dato speciale importanza alla trasmissione della fede cristiana attraverso la via Pulchritudinis (la via della bellezza). Non basta che il messaggio sia buono e giusto. Deve essere anche bello, perché solo così arriva al cuore delle persone e suscita l’amore che attrae, (Esortazione La gioia del Vangelo, n.°167). La chiesa non persegue il proselitismo ma l’attrazione che viene dalla bellezza e dall’amore la cui caratteristica è lo splendore.
La bellezza è un valore in se stesso. Non è utilitarista. E’ come il sole che fiorisce per fiorire, poco importa se lo guardano o no, come dice il mistico Angelus Silesius. Trovatemi uno che non si lascia affascinare da un fiore che sorride gratuitamente all’universo! Così dobbiamo vivere la bellezza in mezzo a un mondo di interessi, scambi e mercanzie. Dunque essa realizza la sua origine sanscrita Bet-El-Za che vuol dire: “il luogo dove Dio brilla,”. Brilla dappertutto e fa brillare anche noi con il bello.
LeonardoBoff ha scritto A força da ternura, ed. Mar de idéias, Rio 2011.