domenica 11 settembre 2016

GENGIS KHAN. IL NOMADE CHE CONQUISTO’ IL MONDO

GENGIS KHAN
«Porto gli stessi cenci e mangio lo stesso cibo dei bovari e degli stallieri. Considero il popolo come un fanciullo e tratto i soldati come fossero miei fratelli. I miei progetti sempre concordano [con la ragione]. Quando faccio il bene, ho sempre cura [degli uomini]. Quando mi servo delle miriadi di miei soldati, mi pongo sempre alla loro testa. Mi sono trovato in cento battaglie e non ho mai pensato se c'era qualcuno dietro me. Ho affidato il comando delle truppe a quelli in cui l'intelligenza era pari al coraggio. A chi era attivo e capace ho affidato la cura degli accampamenti. Agli zotici ho fatto mettere in mano la frusta e li ho mandati a sorvegliare le bestie». (citazione di Gengis Khan, da una stele taoista del 1219)
SIAMO TUTTI FIGLI DI TEMUJIN
di Federico Pistone (da "Mongolia -
L'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri" - Polaris)

Se fino a quindici anni fa evocare il nome di Gengis Khan poteva portare di fornte a un plotone di esecuzione del governo filosovietico, oggi parlare male o a vanvera del grande condottiero viene considerata una bestemmia e insieme un vilipendio. Gengis Khan (la pronuncia corretta assomiglia a Cinghis Haan, con l’acca molto aspirata), il più grande conquistatore di tutti i tempi, riposa in pace, probabilmente in un luogo del Khentii, nel nord della Mongolia, dov’è nato intorno 1162, incoronato imperatore nel 1206 e morto nel 1227. Aveva conquistato il mondo a cavallo e l’unica volta che ne è sceso, per una caduta, è morto. Eppure Gengis Khan è stato riesumato e torna a vivere nell’orgoglio dei mongoli: è diventato perfino un’ossessione, soprattutto dopo la celebrazione degli 800 anni dell’impero festeggiati nel 2006. Si comincia già allo sbarco a Ulaanbaatar: l’aeroporto, dal maggio 2006, si chiama Chinggis Khaan, e non più col nome storico Buyant Ukhaa. Dal marzo 2008 dagli aerei in atterraggio è possibile scorgere un gigantesco ritratto del condottiero formato da 430.000 tessere di cristallo, dono del Rotary club di Taipei. In qualsiasi bar si può bere l’ottima birra Genghis Khan e sugli scaffali dei supermercati sono infilate centinaia di bottiglia dell’omonima vodka, tra l’altro eccellente grazie all’acqua purissima che viene utilizzata. Uno degli alberghi più prestigiosi della capitale si chiama Chinggis Hotel, una bizzarra struttura rosa e nera che assomiglia a un castello di carte in riva al fiume Selbe. Uno dei pub-ristoranti più frequentati è il Chinggis Club, a nord della città, con cucina tedesca e birra dedicata a Temujin. Ma c’è un concorrente proprio davanti allo State Department Store che offre esclusivamente cucina mongola, soprattutto i buuz, i tradizionali ravioli al vapore ripieni di carne di montone: si chiama Khaan Buuz. Anche una delle principale banche di Ulaanbaatar non si è fatta sfuggire l’occasione di garantire i risparmi sotto il nome più rassicurante: Khaan bank, un grande edificio immacolato a est di Ub. Uno dei gruppi musicali rock più popolari si è assicurato il battesimo dell’imperatore. Infinita la teoria di negozi e locali con il nome del condottiero. Che, a scanso di equivoci, campeggia anche su manifesti giganti, come quelli che pubblicizzano la compagnia telefonica mongola e sulle banconote più diffuse, da 500 a 10.000 tugrig, cioè da 30 centesimi a 6,5 euro. Per accontentare i sovietici, non solo i mongoli hanno eretto statue ad eroi forestieri (la Mongolia è stato l’ultimo Paese al mondo, Russia compresa, a tenere in piedi le statue di Stalin) ma hanno dedicato la piazza principale e il nome della capitale (Ulaanbaatar: eroe rosso) a Sukhbaatar (eroe con l’ascia, sempre lui), colui che nel 1921 capeggiò la rivolta mongola contro i cinesi per consegnare la patria direttamente nelle mani dei sovietici. C’è da scommettere che nei prossimi anni la piazza cambierà nome: nel frattempo è stata eretta una sontuosa statua di Gengis Khan al centro di un colonnato di fronte al Parlamento che fa quasi impallidire Sukhbaatar a cavallo.
I mongoli, anche i più giovani, sono orgogliosi di essere discendenti di Gengis Khan. La bibbia qui è La Storia segreta dei mongoli che viene letta e studiata già nelle scuole elementari. Ma forse non sanno che anche noi siamo un po’ figli di Gengis Khan. Una ricerca genetica condotta da Chris Tyler-Smith e pubblicata dall’American Journal of Human genetics ha accertato che lo 0,5% dell’intera popolazione mondiale e l’8% di quella asiatica discende da un uomo solo che ha trasmesso il cromosoma battezzato super Y e che ha vissuto tra il XII e il XIII secolo. Allo stesso risultato era giunta un’altra ricerca condotta da Bryan Sykes dell’Università di Oxford che aveva ricondotto senza incertezza  il gene a Temujin per “la consuetudine dell’imperatore mongolo di uccidere i nemici e violentare le donne quando i suoi eserciti conquistavano un nuovo territorio. “Non c’è dubbio – ha ribadito David Morgan, docente di storia mongola all’Università del Wisconsin – che Gengis Khan lasciò una progenie sterminata”. Insomma, siamo un po’ tutti figli di Gengis Khan. E chi ha la cosiddetta macchia mongolica stampata sul corpo può vantare una vera e propria certificazione genetica di garanzia.

GENGIS KHAN, IL NOMADE CHE CONQUISTO’ IL MONDO
di Federico Pistone (da "Mongolia - L'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri" - Polaris)

La sua tomba resta un segreto. Se l’è portato con sé e con le centinaia di cavalli e cavalieri uccisi per non rivelare al mondo il luogo della sua sacra sepoltura. Inutili finora gli scavi, inutile il dispiego di satelliti e altre diavolerie tecnologiche importate da Stati Uniti e Giappone. Gengis Khan, il più grande conquistatore di tutti i tempi, riposa in pace probabilmente in un luogo del Khentii, nel nord della Mongolia, dov’è nato intorno 1162, incoronato imperatore nel 1206 e morto nel 1227. Aveva conquistato il mondo a cavallo e l’unica volta che ne è sceso, per una caduta, è morto. “La Storia segreta dei mongoli”, scritta da anonimo nel settimo mese dell’anno del Topo 1240, quindi diciassette anni dopo la morte di Gengis Khan, ci aiuta a capire molti aspetti della vita e della leggenda del grande condottiero, ancora oggi oggetto di vivacissime diatribe storiche. Colui che diventerà Gengis nasce sulle rive del fiume Onon, alla confluenza con l’Hur, tenendo in mano un grumo di sangue rappreso. Viene battezzato Temujin perché questo è il nome del capo dei tartari appena catturato dall’esercito mongolo guidato dal padre Yesugai. Quando Temujin ha nove anni viene dato in sposa a Boorte, che ha un anno in più. Al ritorno verso l’accampamento, Yesugai è avvelenato dai tartari. Temujin cresce con la sete di vendetta, dimostrando subito uno straordinario coraggio ma anche una saggezza stupefacente. In poco tempo riunisce tutte le popolazione nomadi e guerriere dell’Asia centrale. Così nel 1206 viene incoronato Gengis Khan, che significa “signore degli oceani”. Si circonda dei migliori strateghi della guerra e comincia a espandere come un’immensa onda il proprio dominio prima di morire combattendo. Lascia ai mongoli un impero quasi senza limiti, dal mar della Cina al Mediterraneo. Come per gli Unni di Attila, la morte del condottiero coincide con il declino di un’epopea. Dopo Gengis Khan l’impero mongolo raggiungerà dimensioni ancora superiori, ma andrà sfaldandosi fino alla dissoluzione. Bat Erdene Batbayar, storico mongolo e attivista politico, ha una motivazione che sconfina nella psicologia: “Il nostro è un popolo nomade, guerriero ed equestre. Abbiamo facilità di conquista, ma un’estrema fragilità nel controllare territori immensi e lontani. Il rischio di dissidi e di attacchi di nostalgia era sempre in agguato”. Insomma, la malinconia avrebbe annientato l’impero dei mongoli.
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UNA STORIA SEGRETA FRA PASSIONE E CRUDELTA’
di Federico Pistone (da "Mongolia - L'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri" - Polaris)

Fu Gengis Khan a imporre l’istruzione al popolo dell’impero mongolo. Nel 1204 fece pubblicare, in linguaggio uiguro, il codice delle leggi, chiamate yasak, termine che ha quattro significati: ordine, divieto, danno, peccato. Scelse l’inchiostro azzurro che richiama il sacro cielo, a sottolineare l’origine divina di questi editti. Ma la scrittura restò solo legata a documenti ufficiali o religiosi. La tradizione scritta è molto scarsa, come per tutte le popolazioni nomadi. C’è però un’eccezione straordinaria: “La Storia segreta dei Mongoli”, scritta nel XIII secolo da una sorta di Omero mongolo, solo diciassette anni dopo la morte di Gengis Khan. È una saga sconcertante per la nostra sensibilità occidentale, ma permette di affondare lo sguardo in una realtà tanto lontana nel tempo e nello spazio, densa di coraggio e crudeltà, di orgoglio e passione. Ogni mongolo ha letto la “Storia segreta” almeno una volta, molti la sanno a memoria, a scuola è studiata con assiduità e ha la stessa valenza per noi della “Divina commedia”. In calce, l’autore (o forse gli autori) ha voluto ricordare che l’opera è stata scritta sotto il regno di Ogodei, figlio di Gengis Khan, nel settimo mese dell’anno del Topo (1240). La “Storia segreta”, composta nell’antico alfabeto uiguro, era andata perduta ma a metà dell’Ottocento ne fu miracolosamente rinvenuta una copia trascritta in cinese. Racconta della vita di Gengis Khan, dalle origini alla morte, attraverso le sue impressionanti gesta. Questo testo, lungo quanto un romanzo, è diventato l’unica vera “sceneggiatura” di mille film, libri, documentari e speculazioni su Gengis Khan e sull’impero mongolo, come la saga editoriale “Il figlio della steppa” di Conn Iggulden, il romanzo più venduto in Inghilterra nel 2007.
La Storia segreta si apre con la nascita e del battesimo del più grande conquistatore della storia, partendo dai successi in battaglia del padre: “Proprio mentre Yesugai sconfigge i Tatari che hanno come capo Temujin-Uge, la moglie Hoelun partorisce presso il fiume Onon: allora nasce Gengis Khan. Stringe in mano un grumo di sangue rappreso. Dicono: è nato mentre veniva catturato il nemico tataro Temujin-Uge, lo chiameremo Temujin”. Quando ha nove anni, il padre decide di trovargli una moglie dagli zii materni. “Ha dieci anni, uno in più di Temujin. Si chiama Borte e ha il viso come l’alba e gli occhi di fuoco”. La narrazione passa attraverso il dramma della morte del padre: “Yesugai ha molta sete e decide di fermarsi a chiedere da bere a un gruppo di Tatari. Ma loro lo riconoscono e di nascosto gli versano del veleno nella coppa. Tre giorni dopo Yesugai sta male e chiama a sé il fratello Munglig e chiede di portargli Temujin”. E qui, ereditato il potere del padre, comincia la vera saga di Gengis Khan, fitta di battaglie, conquiste, razzie, atrocità, amore, amicizia e tradimenti. Fino all’incoronazione, nel 1206: “Dopo essersi consultati fra di loro, Altan, Qucar, Saca-Beki e tutti gli altri dicono a Temujin: Ti eleviamo a Khan. Inseguiremo il nemico, ti porteremo le vergini e le mogli più belle, tende, palazzi, schiavi e i cavalli migliori. Cacceremo le belve di montagne e te ne faremo dono, senza sventrarle. Per ogni animale che cattureremo, te ne daremo metà, dopo avergli tolto le zampe. Se dovessi mancare a un tuo comando, allontanaci dall’accampamento, dalle nostre donne, tagliaci le teste e buttale in terra. Struggente l’episodio del ferimento di Gengis Khan, accudito con amorevole cura dal luogotenente Jelme: “Gengis Khan è ferito all’arteria del collo. Impossibile fermare il sangue. Jelme succhia continuamente il sangue che si rapprende. Quando ha la bocca piena, o sputa il sangue o lo inghiotte”. Infine la morte del condottiero, solo accennata, come se il narratore avesse paura di profanarne la memoria, di scoperchiare la tomba che lo stesso Gengis Khan ha ordinato rimanesse per sempre segreta. Non dimentichiamo che l’amatissimo imperatore è scomparso da pochi anni e il dolore popolare è ancora incredibilmente vivo. “Prima di presentarsi a Gengis Khan, Burqan sceglie i doni per il suo imperatore: nove pezzi d’oro, nove d’argento, nove vasi preziosi, nove fanciulle, nove dei migliori cavalli e nove cammelli e, come regalo principale, una tenda d’oro. Durante l’udienza Gengis Khan si sente male”. La “Storia segreta” finisce dove comincia la leggenda e l’orgoglio di un popolo.

LA TOMBA DI TEMUJIN Dove sia sepolto Gengis Khan è ancora un mistero. Nel luglio del 2001 una spedizione mongolo-americana, guidata da studiosi della Chicago University, ha annunciato di avere individuato la tomba di Temujin. Sarebbe in prossimità del monte Burkhan Khaldun nel Khentii, l'aimag d'origine del condottiero. Nella zona di Iksain Gazar è stato rinvenuto un gigantesco muro di oltre 3 chilometri e alto fino a 4 metri in cui sarebbero stati sepolti re e regine del medioevo mongolo.

In occasione dell'800° anno della fondazione dell'Impero di Gengis Khan (1206-2006) la redazione diwww.mongolia.it ha cercato i luoghi fondamentali della vita del grande condottiero: dove è nato, dove è stato incoronato e dove, forse, è stato sepolto. Nelle foto (di Federico Pistone), dall'alto in basso: la congiunzione dei fiumi Onon e Hurhin, nei pressi di Binder, dove Temujin nacque intorno al 1160; al centro, le sponde del lago Khokh dove fu proclamato imperatore nel 1206 e, a destra, il luogo più accreditato per la sua sepoltura segreta, nelle foreste del Khentii (una pietra levigata fa da accesso a un enorme ovoo di pietre dietro gli alberi, probabilmente la tomba di un grande condottiero, forse proprio Gengis Khan). Le ricerche per individuare la sua vera tomba purtroppo continuano senza sosta, nonostante la volontà  espressa da Temujin di celarne per sempre l'ubicazione.

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