giovedì 30 dicembre 2010

Non è il momento di lasciare il campo, ma di accettare la sfida.

 

Ci risiamo. Un altro invito ai giovani affinché lascino l’Italia. Prima dal rettore di un ateneo, ora da un docente universitario. La nuova esortazione è arrivata ieri, dalle colonne del Corriere della Sera dove, in un intervento, Giovanni Belardelli - docente di Storia delle Dottrine Politiche all’università di Perugia -,  commentando l’ennesimo scandalo di parentopoli, scrive che anche se a malincuore consiglierebbe di andare all’estero a un giovane laureato a pieni voti, dotato di curiosità intellettuale, animato da passione e interessi. Perché il nostro è un paese che a parole esalta la meritocrazia, ma nei fatti lascia che ovunque si pratichi la più spregiudicata meritofobia, ovvero la sistematica e capillare mortificazione del merito. 

Un pensiero condivisibile, che restituisce limpidamente l’immagine che ciascuno ha davanti agli occhi, quotidianamente. Però, ci chiediamo, se i migliori abbandonassero l’Italia, non sarebbe una sconfitta sia per chi va via che per chi rimane e non riesce a trattenerli? Il pensiero di gettare la spugna, di fare le valigie perché anche la speranza le ha fatte, forse non dovrebbe albergare nella mente di un giovane. Come può un giovane dichiararsi sconfitto, quando ancora è soltanto all’inizio della sua battaglia? Avrebbe il sapore di un abbandono del campo per ammissione di inferiorità, di impotenza. Il giovane lotta, si galvanizza per le sfide, si nutre della voglia di cambiamento. Un giovane agisce, scende nell’agone. Non il contrario.

Andare all’estero sì, ma per aprire gli orizzonti, non per sentimento e ammissione di sconfitta. Non perché ci si arrende all’idea dell’impossibilità di cambiare il proprio paese o di conquistare uno spazio per i propri talenti che non hanno trovato un mentore che li sponsorizzi. La vera sfida da vincere, dall’interno, è quella di mandare in pensione l’Italia familista.

A questo proposito, è interessante la chiave di lettura del familismo data da Belardelli. Il professore, ritiene discutibile e insufficiente la spiegazione sulle cause del familismo amorale che Banfield rintracciò nell’Italia meridionale degli anni Cinquanta. Secondo Berardelli il familismo più che essere un carattere italico è frutto di una peculiare condizione sociale, politica ed economica del paese, dove dal un lato la famiglia ha rappresentato una fondamentale risorsa per il welfare e la produzione, e dall’altro i partiti hanno influenzato il mercato del lavoro con le assunzioni clientelari.

Questa forma di malcostume italico, dunque, deriva dal familismo legato al welfare e dal clientelismo connesso con il sistema degenerato dei partiti, con i favori in cambio del voto, con la promessa e con l’assegnazione del posto di lavoro agli amici e agli amici degli amici. Un sistema bipartisan, come scrive Berardelli, dal quale non è esente nessuna parte politica, compresa quella sinistra che ha sempre vantato e ostentato la propria superiorità morale.

Per fortuna, ci sono molti giovani, pieni di talento e determinati, che non hanno nessuna intenzione di farsi sconfiggere da questa realtà, che credono nella possibile rigenerazione del paese in cui sono nati. Intendono restare, aprirsi un varco con la convinzione di poter contribuire a un cambiamento dall’interno. Certo, non escludono di andare anche fuori, soprattutto quelli che lavorano nell’ambito della ricerca, ma per arricchire il loro bagaglio di conoscenze, per affinare con l’esperienza all’estero il loro bagaglio professionale. Ma è l’Italia il paese in cui vogliono operare, il posto in cui vogliono mettere a frutto i risultati del loro lavoro.

L’auspicio è che le varie parentopoli, più o meno eclatanti e scandalose, le solite storie ordinarie di raccomandazioni non abbiano la meglio sulla determinazione di chi in questi anni si affaccia nel mondo delle professioni e con le proprie risorse può portare nuova linfa e contribuire alla costruzione di un’Italia più efficiente, meno approssimativa e più confidente nei propri mezzi e nel proprio futuro.

di Rosalinda Cappello

30 dicembre 2010

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