giovedì 20 febbraio 2014

Tempesta perfetta: Ars, acqua alla gola. Colpevoli e incompetenti !


SHARE ON EMAIEMAISHARE ON PRINT

Tempesta perfetta: Ars, acqua alla gola. Colpevoli e incompetenti?
Autonomisti, indipendentisti e sicilianisti lamentano la perdita di sovranità della Regione siciliana, il tradimento dei padri fondatori, l’abbandono del patto fondativo, l’ascarismo dei politici siciliani. Puntano il dito contro la burocrazia romana accentratrice, i partiti nazionali, il nord egoista e denunciano una sorta di conventio ad excludendum, la tacita intesa tra poteri forti, parti sociali, economiche e politiche ai danni dell’Isola.
Uomini delle istituzioni, professionisti, imprenditori, manager, stando dall’altra parte della barricata, sono invece arcistufi delle Regioni, farebbero volentieri a meno della specialità siciliana, attribuendo all’Ente Regione la responsabilità di sprechi, privilegi, inefficienza. I guai giudiziari capitati ai presidenti della Regione  – le condanne a Cuffaro e Lombardo – certificherebbero questa scelta radicale.
Crescita e sviluppo sarebbero stati impediti da una casta di arraffatori che ha trovato il terreno di cultura nelle strutture regionali e nei Palazzi del potere locale. Salverebbero il Comune, del quale è impossibile fare a meno, ma vorrebbero tagliare la testa a tutto il resto: Regioni, Province, miriadi di aziende partecipate e dispendiose – comunali, provinciali, regionali ecc – per ridurre i costi della politica, nella convinzione che meno sono  i politici che hanno le mani in pasta, meglio è. La Regione, per restare in Sicilia dunque, andrebbe smantellata pezzo dopo pezzo, per colpe sue, e per colpe non sue. L’Assemblea regionale non funziona, esecutivo e legislativo fanno pena. Perché dovremmo tenercela?
E al suo posto che cosa ci mettiamo? Niente, meglio niente.
I primi – autonomisti e indipendentisti  – vorrebbero l’attuazione piena dello statuto speciale e spiegano i guai con la rottamazione del patto autonomista. I secondi cancellerebbero anche le orme delle assemblea democratiche, trascurando il fatto che le rappresentanze politiche vengono scelte proprio fra le professioni che più soffrono, a ben diritto, delle incompetenze e degli sprechi pubblici.
Non c’è da meravigliarsi se convivano nella stessa comunità opposte visioni della realtà, le diagnosi siano così diverse, e le ricette opposte; dovremmo sorprenderci non poco piuttosto nel constatare che la sfiducia nelle rappresentanze parlamentari e politiche coinvolga le istituzioni democratiche.
Quando un’assemblea è paralizzata da veti incrociati, politici irresponsabili, litigiosi e incompetenti, ciò che andrebbe fatto, appena l’occasione arriva, è un cambio delle rappresentanze attraverso un voto giudizioso alle urne. Invece ci si lamenta per anni di come vanno le cose e poi si va a votare malamente, non si va a votare affatto o si vota allo steso modo di prima, mentre si alleva il disamore per le istituzioni e la democrazia, quasi che si potesse risolvere tutto con la bacchetta magica, personaggi illuminati, cavalieri senza macchia e senza paura.
Andrea Camilleri, pochi giorni or sono, ha affrontato il tema delle responsabilità degli elettori. Che è incommensurabilmente minore rispetto a quella degli eletti, ma esiste e come. Le reazioni non sono state tutte positive. Anzi.
C’è bisogno di ricordare Winston Churchill, il grande statista inglese, conservatore e aristocratico, che avvertiva i suoi – e anche se stesso – dell’impossibilità di sostituire la democrazia, per quanto stupida fosse? Gli elettori, non solo gli eletti, cui la democrazia affida le scelte, ricordava, sarebbero da sfiduciare, ma dobbiamo tenerceli perché sarebbe peggio se non ci fossero.
I tempi sono tristi a causa della crisi economica. In Sicilia e altrove. Le rappresentanze politiche non brillano per competenza, etica della responsabilità, senso delle istituzioni; in più i politici non sentono l’appartenenza al partito o movimento in cui militano, facendo prevalere individualità e interessi personali.
Il Parlamento siciliano non dà grande prova di sé, come dimostrano episodi recenti – la finanziaria cancellata dal Commissario dello Stato e le aree metropolitane, bocciate nel segreto dell’urna – ed è comprensibile che qualcuno pensi sia meglio mandare tutto a carte quarantotto, esasperato per i problemi, irrisolvibili, che deve affrontare.
E’ incomprensibile, tuttavia, che questo atteggiamento venga tenuto da coloro che hanno responsabilità istituzionale. Fra quelli che gettano in aria le carte c’è il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, il quale ripropone – lo ha già fatto qualche mese fa – il commissariamento della Regione siciliana. Il sindaco sa bene che una soluzione siffatta può essere adottata in presenza di condizioni estreme che oggi non esistono, ma vuole mettersi in sintonia con il sentire popolare, al pari di chi sta fuori dalla mischia.
Come giudicherebbe chi chiedesse il commissariamento del Comune perché la munnizza sommerge i cittadini, le case, le scuole e gli edifici pubblici crollano, le strade si allagano e l’abuso e il disordine prevalgono in  molti settori nel capoluogo della Sicilia?
Sarebbe ingiusto addebitargli la responsabilità piena di ciò che accade, nonostante i molti anni trascorsi a Palazzo delle Aquile, perché le ragioni dell’inefficienza e del disordine sono vaste e antiche. Piuttosto che perorare la causa del commissariamento, dovrebbe sentirsi parte della classe dirigente e farsi coinvolgere dall’aspro confronto in corso in Assemblea. Il sindaco della città capoluogo conta pure qualcosa. Invece, per quanto ne sappiamo, non ha nemmeno partecipato all’audizione in Commissione bilancio, dedicata alle aree metropolitane, snobbando il Parlamento.
“Dopo aver approvato una legge finanziaria che non ha passato il vaglio del Commissario dello Stato ed ha suscitato da un lato ilarità e dall’altro preoccupazione in tutta Italia”, protesta tuttavia Leoluca Orlando, “l’Ars cancella, fatto unico in Italia, le città metropolitane, non solo dimostrando di essere indietro nel tempo rispetto allo sviluppo istituzionale del paese, ma soprattutto tagliando fuori quasi tre milioni di siciliani dalle possibilità che questa nuova forma istituzionale offre in termini di rapporti privilegiati con gli investitori e per l’accesso ai fondi comunitari”.
Tutto giusto, da sottoscrivere. Le ragioni delle rimostranze sono condivisibili, ma non valgono nulla se diventano solo un’occasione per mascariare il nemico.  E’ un peccato che Leoluca Orlando si scrolli di dosso responsabilità come se fosse la polvere del cappotto lasciato a lungo in armadio.
Se è comprensibile lo sfogo di chi non sa come sbarcare il lunario e se la prende con chi gli capita, non lo è quello del sindaco di Palermo.
Quando ha saputo della richiesta di commissariamento da parte di Orlando, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, ne ha approfittato per ricordargli di comportarsi da uomo delle istituzioni, dismettendo il qualunquismo. Condivisibile anche la sua diagnosi a patto che faccia altrettanto. Come ammonivano saggiamente i romani: “Medice, cura te ipsum”. Il qualunquismo è endemico, non risparmia nemmeno i buoni di spirito e si espande anche a causa di portatori sani.
Siciliainformazione.com

Nessun commento:

Posta un commento